Dal sito del CNOAS
L’Editoriale – Le priorità di una società disegnano il suo futuro
13 gennaio 2017
Da molti mesi i temi delle periferie, della povertà, della povertà educativa, del reddito di cittadinanza o del reddito d’inclusione, del ruolo dell’edilizia pubblica per la riqualificazione delle città, sono entrati di prepotenza nel dibattito politico e nel dibattito mediatico; per non citare quelli – annosi – del lavoro e della disoccupazione giovanile.Temi, questi, centrali nella quotidianità di tutti i cittadini, assistenti sociali compresi, per la loro ricaduta immediata sulla percezione di un futuro migliore, di una sicurezza in caso di difficoltà, della possibilità di poter godere di alcuni diritti.
Per troppi di questi temi, tuttavia, la soluzione che sembra a portata di mano viene rinviata o sospesa perché mancano le risorse o serve un accordo preventivo con gli enti locali. Oppure si scopre che sì, si è intervenuti per l’emergenza, ma ora, esauriti i fondi, il servizio è chiuso, la struttura non è più aperta, il trasporto per l’anziano non è più disponibile, il progetto sperimentale dell’anno prima non c’è più o è stato drasticamente ridotto, e così via.
Esistono, ovviamente, delle priorità da rispettare per impedire un peggioramento della situazione complessiva.
Forse potrebbe essere politicamente poco corretto raffrontare il salvataggio delle banche con l’attuale situazione delle politiche sociali in Italia, dei servizi mancanti e delle misure per sostenere chi ha perso il lavoro o ancora non riesce a trovarlo, per la casa.
Così come potrebbe essere improprio affermare aprioristicamente che salvare questa o quella banca sia sbagliato: è noto, infatti, che il fallimento di un istituto di credito significa ulteriori danni al tessuto economico e sociale con persone private del loro risparmio, disoccupati diretti ed indiretti per le aziende senza più credito, e così via.
Certo è, tuttavia, che una riflessione va fatta usando proprio questi interventi di urgenza per il comparto bancario come elemento di confronto con situazioni che anche in questi giorni ci hanno fatto indignare.
Credo che le parole del Presidente Mattarella non siano troppo distanti per essere già state dimenticate: “Non possono esserci cittadini di serie A e di serie B”.
Perché, allora, non pensare ad un intervento straordinario di pari entità per salvare dal default anche la nostra società?
Se non si mette in campo uno sforzo serio le lacrime di coccodrillo per i morti di freddo saranno solo un’altra piccola ipocrisia collettiva: in Italia la spesa per combattere la povertà rappresenta solo lo 0,1% del PIL contro una media UE dello 0,4%.
Scegliere le priorità significa scegliere quale futuro dare al Paese: bene, dunque, reperire d’urgenza i fondi per il salvataggio dei risparmi, ma serve ora intervenire rapidamente sulla povertà.
La sfida non è solo quella di aumentare il finanziamento ma fornire diritti a una platea più vasta di persone. Serve, però, decidere in fretta perché il default di avvicina.
C’è un esercito di poveri che da anni attende il varo di un piano nazionale complessivo di contrasto e non più misure spot. E nel mentre questo esercito è diventato via via molto più numeroso: solo dieci anni fa, nel 2007, contava 1,8 milioni di persone mentre ora ha superato la stratosferica cifra di 4,5 milioni di unità, oltre il 7% dei cittadini italiani.
Serve il coraggio delle scelte, anche impopolari come spostare spese, nel bilancio di Stato, Regioni e Comuni, da un capitolo ad un altro.
È necessario comprendere che molti degli interventi nelle politiche sociali sono investimenti e non spesa corrente: un anziano curato con servizi domiciliari, è un anziano che ricorre meno all’ospedale; un minore che può accedere ai centri diurni potrà avere un contesto relazionale ed educativo che probabilmente lo porterà ad essere un adulto migliore; una madre che sa di poter contare su interventi domiciliari per il figlio disabile o di un supporto per la riabilitazione può avere anche la possibilità di mantenere un lavoro e non dovrà chiedere sussidi o aiuti.
Mille gli esempi che si potrebbero portare. E nel tempo delle paure non è male ricordare che molti dei terroristi si sono radicalizzati in carcere, che le loro storie intrecciano quelle periferie che noi oggi professionalmente pratichiamo, che intervenire nel reinserimento sociale o nel ridurre i rischi di devianza non è spesa improduttiva come per tanti anni ci siamo sentiti dire.
Che il tema dei diritti sociali sia una priorità da affrontare senza indugi e con coraggio è cosa evidente: servono 7 miliardi per mettere in campo una misura idonea per venire incontro alle esigenze di oltre 4 milioni di cittadini in condizione di povertà mentre al momento sembra si possa contare – forse – su non più di 1,5 miliardi.
Va anche garantita la possibilità di accedere ad interventi e servizi per uscire da forme meramente assistenziali ma per tutto questo sarà assai improbabile si riescano a reperire le risorse necessarie, troppo spesso trovate per le cosiddette emergenze. Che tali, spesso non sono, rappresentando solo un comodo alibi essendo quasi tutto ampiamente previsto e prevedibile. Non ci si può appellare – d’inverno – all’emergenza neve o all’emergenza freddo. E lo stesso si può dire per l’emergenza carceri, l’emergenza casa, solo per citarne alcune. Per non parlare dell’emergenza dissesto idrogeologico con i vari piani di prevenzione e messa in sicurezza spariti in fretta dall’agenda politica e mediatica.
Serve, dunque, riflettere senza ipocrisia. Salvare i risparmiatori – se quella è la ratio del provvedimento – stanziando senza indugi i fondi necessari anche a costo di entrare in rotta di collisione con l’Europa è giusto. Ma una giustizia non può e non deve cancellarne un’altra.
La rabbia che molti analisti cercano di spiegare nell’Europa dei populismi nasce in quelle periferie dove l’incertezza, l’indeterminatezza, la lentezza del Governo e delle Regioni, l’enorme differenza tra le diverse aree del Paese, che caratterizza gli interventi nell’area delle politiche sociali, si tramuta nella guerra tra poveri, tra chi ha paura di diventarlo nei confronti di chi lo è già diventando, concorrente per quel poco che c’è.
Non ci si stupisca, quindi, della rabbia sorda e diffusa, dello scoraggiamento di giovani e famiglie, del senso di abbandono e di ribellione che sempre di più caratterizza le periferie, quelle fisiche e quelle immateriali.
Le politiche sociali, i servizi per le persone, gli interventi di supporto ed anche i sostegni economici devono rappresentare una priorità andando ad incidere sulle persone, sulle famiglie e sulle comunità e quindi sul capitale umano e sociale dell’intero Paese.
Ecco perché senza ipocrisia e con la massima fermezza serve respingere le lacrime e le condoglianze, la solidarietà e i buoni propositi, anche nei giorni in cui morti si aggiungono a morti.
Serve agire senza indugio per trovare le risorse sufficienti per riannodare i fili che uniscono il tessuto sociale del nostro Paese che non può essere lasciato in mano al solo coraggioso volontariato.
I diritti e le opportunità dei cittadini e delle persone, come delle comunità, dovrebbero trovare nel volontariato un “di più”, una integrazione, non l’unica risposta ai propri diritti di cittadinanza.
La sfida ora è quella di ridurre il divario – crescente – tra chi ha tanto e chi non ha niente. Per vincerla serve anche mettere ciascuno e ciascuna istituzione di fronte alle rispettive responsabilità: anche commissariando, se necessario, quegli Enti locali che dimostrino inefficienza e incapacità programmatoria e organizzativa.
Servono anche maggiori controlli perché i già scarsi fondi siano effettivamente gestiti in forma trasparente e da professionisti capaci. Va valorizzato il Terzo settore senza delegare funzioni pubbliche per la necessità di tagliare le spese; si dia al volontariato la possibilità di essere volontario e non essenziale per la sopravvivenza della dignità minima delle persone.
Serve agire con determinazione per far sì che il Paese si avvii davvero verso una eguaglianza diffusa e omogenea, da nord a sud, in modo che nessuno si senta escluso.
Serve soprattutto capire che ogni euro investito in dignità, in opportunità per chi è al margine o che scivola verso l’esclusione è un investimento a favore della sicurezza di tutti.
Le scelte di oggi determineranno il nostro futuro ed è per questo che per queste scelte serve il coraggio politico della volontà.
Serve smettere di pensare che si possa sopravvivere tra un’emergenza e l’altra e avere sempre presente l’insegnamento di Bauman che ricordava che il futuro degli esclusi dalla società del benessere dipenderà anche dagli standard etici che gli operatori sociali riusciranno ad introdurre nel tessuto sociale e nelle comunità.
gg.